29 marzo 2013

Nonne e Olive all'ascolana senza glutine

Mia nonna materna, pur avendo abitato sempre a Napoli, era palermitana al 100%.
Da buona siciliana era attaccatissima ad una serie di rituali culinari che onorava mantenendosi sempre in bilico tra il piacere e il sacrificio, per esempio la preparazione  delle pastiere pasquali era una specie di tragicommedia che iniziava almeno due settimane prima della Pasqua, perché mia nonna ci aveva il pensiero della fatica che avrebbe dovuto fare.
Pur essendo naturalmente votata al dramma, mia nonna aveva delle inclinazioni davvero particolari: per esempio era un'amante del trash food. Non c'era schifezza o cibo sintetico degli anni '70-'80 che lei non abbia comprato: patatine, merendine, salsette, scatolame... credo che se fosse stata giovane negli anni '90 probabilmente avrebbe sbancato i McDonald e i sushi bar.
Lontana dagli stereotipi della nonnina che fa quotidianamente crostate e biscotti, mia nonna era sensibile all'acquisto di qualsiasi novità si trovasse in negozio. E negli anni settanta, quelli della mia infanzia, di cose nuove ce ne erano a gogo'!
Sono sicura che molti dei coloranti e conservanti in uso a quei tempi oggi si trovano solo come prodotti chimici con una bella capa di morto sopra. Ma allora... allora chi mai badava alle etichette (sicuramente più scarne) o se un gelato ti colorava la bocca di rosso mentre i jeans ti lasciavano le pacche blu per almeno tre giorni?
In quest'ottica di novità comprerecce un giorno mia nonna si ritirò con un prodotto surgelato di ignota composizione: la signora del negozio dei surgelati le aveva venduto queste aulive scolate (letteralmente olive senza salamoia, ah questi falsi amici....) e a stento si capiva che andavano fritte in padella.
Costavano un botto e nella confezione ce ne erano pochissime, forse probabilmente anche questo contribuiva alla loro squisitezza.
Probabilmente le olive all'ascolana surgelate sono state una scoperta di molte tavole italiane negli anni ottanta e quella della mia famiglia non faceva eccezione,  avevamo sviluppato una seria dipendenza da oliva ascolana con somma soddisfazione della nonna...

Io però ero destinata a ben altri incontri...
Quando mi iscrissi all'Università, incontrai quasi subito quella che sarebbe stata la mia compagna di studi per tutto il corso di Laurea. Anche lei aveva una nonna particolarmente prorompente, solo che la sua viveva a Fermo, nelle Marche. La nonna Giorgina, questo era il suo nome, era una vecchina magrissima con una fantastica crocchia di capelli candidi come la neve. Probabilmente il personaggio che potrebbe ricordarmela meglio è   Jessica Tandy in "Pomodori verdi fritti alla fermata del treno".  E non solo fisicamente, la nonna Giorgina era una grande narratrice di storie e tutto sommato era molto più moderna di noi.

Siccome eravamo studiose ma anche piuttosto zingare, (con un forte spirito di adattamento, il pepe della giovinezza  e la compagnia adatta, abbiamo passato anni a gironzolare per il centro-sud con la scusa di visitare ambienti naturali per i nostri studi in scienze), è capitato più di una volta che ci mettessimo in macchina il venerdì e andassimo a fare una "passeggiata" fino a Fermo.
Era una scusa per viaggiare, allontanarsi da Napoli, godere della campagna e dei racconti arguti della nonna la quale, anche affrontando argomenti drammatici come la guerra, sapeva sempre come strapparci una risata.
Ed è stato proprio durante uno di questi week end marchigiani che sono stata ufficialmente battezzata con la crema fritta (delizia a me fino a quel momento sconosciuta) e con l'originale, unica inimitabile 
oliva ascolana!
Compravamo tutto in un negozio che vendeva pasta fresca e, dopo aver mangiato innumerevoli olive in loco, ne portavamo quintalate in terra campana!
Ovviamente le olive ascolane fresche, comprate a Fermo stavano alle olive ascolane della findus come la pizza di Brandi sta alle pizzettine Catarì! Non so se mi spiego!


Ora se c'è una cosa che non riesco a trovare (con o senza mutua) sono le olive all'ascolana. Non dico fresche, non dico surgelate ma almeno ... mummificate!
Poco male: accendo i miei poteri sglutinati, setto la determinazione celiaca in  mode on...

Olive, sarete presto mie e sarete anche perfettamente gluten free!

Le ricette in rete non sono propriamente di aiuto, sono variegate e diverse tra loro soprattutto per tipo di ingredienti.
Pane o non pane? Chiodo di garofano o non chiodo?
Leggere le informazioni riportate QUA, mi ha aiutato un po' a capire quali siano gli ingredienti tipici delle olive all'ascolana.
Per la ricetta, a grandi linee ho deciso di fidarmi di codesta benefattrice, che si dichiara Ascolana da generazioni e dunque sarà depositaria della Verità olivica!

... Leggendo leggendo già capisco che le mie olive all'ascolana saranno pezzotte: dove caaaaa....spita la trovo io la varietà OLIVA ASCOLANA TENERA citata nelle ricette?
E le carni prodotte in terra marchigiana?
OK, diciamo che già mi potrò ritenere soddisfatta se riuscirò a fare un omaggio alle famosissime Olive riproducendole con ingredienti simili e senza glutine!


Per fare le mie olive all'ascolana senza glutine ho usato questo procedimento:
1 barattolo bello grosso di Olive di Sicilia in salamoia (io Auchan)
300 gr di polpa di manzo tagliata a tocchetti
100 gr di polpa di maiale tagliata a tocchetti
50  gr di petto di pollo tagliato a tocchetti
1 carota
1 cipolla piccola
1 gambo di sedano
due uova
tanto parmigiano grattugiato
farina senza glutine per impanare (io ho usato la biaglut)
pangrattato senza glutine (io ho usato il Nutrifree)
Olio di semi abbondante
Noce moscata (io ho usato quella Cannamela da grattare al momento)

Ho iniziato con un classico soffritto di carota, cipolla e sedano tritati cui ho aggiunto tutta la carne tagliata a tocchetti. Ho fatto rosolare, sfumare con un po' di vino bianco e  poi ho continuato fino a cottura ultimata. Ho fatto raffreddare la carne e poi l'ho tritata nel mixer. Ho aggiustato di sale e ho incorporato il rosso di un uovo, poi il parmigiano e poi un altro rosso d'uovo e una grattugiatina sincera di noce moscata  La farcia è  diventata come una pasta molto ma molto soda.
Poi arriva il grande momento delle olive!
Le olive si snocciolano tagliando la polpa a spirale, non sono marchigiana ma credo di aver ben capito come procedere. Più semplice a fotografarsi che a dirsi!





In pratica questo procedimento permette di levare il nocciolo e poter ricomporre perfettamente l'oliva..  qui si vede bene la "spiralizzazione"

Ripetere il tutto per ogni oliva è un pochino faticoso, però ne vale la pena!








Riempire le olive, invece, mi è sembrato molto più difficile che tagliarle. Ho cercato di mettere tanta polpa quanto il volume dell'ex nocciolo per non avere un'oliva abboffata o smagrita.



E infine le ho passate nella farina senza glutine, nell'albume d'uovo sbattuto e poi nel pangrattato senza glutine. Lasciate riposare per un quarto d'ora e fritte in abbondante olio di semi di arachide.


La fonte da cui ho tratto la ricetta sottolinea più volte che è importantissimo, nella fase di panatura, usare solo l'albume dell'uovo, per preservare l'oliva dalle crepature e per poterla congelare e friggere in seguito. Cosa particolarmente utile, perché con questi quantitativi di farcia (che mi sembravano striminziti) di olive se ne imbottiscono moltissime!
Io ho usato tutto il barattolo (era quello medio-grande) e mi sono avanzate ben cinque grosse "polpette" di ripieno! A questo punto ho congelato non solo le olive superchie ma anche il ripieno avanzato.


L'anacoreta, dopo aver deglutito numerose drupe farcite, ha sentenziato:
"dopo quelle di Ascoli, queste sono le meglio olive ascolane che ho mangiato in vita mia!"



Anche io, detto tra noi, mi sono arricreata.
Sarà stato il desiderio represso, sarà stata la buona fonte ricettifera...
come ho fatto a stare senza per così tanto tempo...
E i villi?
Ah, i miei villi non parlano più! hanno le mandibole talmente impegnate a masticare che non possono perdere tempo a blaterare. Erano troppo piccini quando li portavo a spasso per l'Italia e tutte le cose buone che ho mangiato allora gli sono... scivolate addosso!  Stanno ancora a recuperare il cibo perduto!
Solo uno, timidamente mi ha chiesto: "Ma un Master ad Ancona? Un dottorato sull'evoluzione della tenerezza delle drupe? Un PRIN sui cicli riproduttivi dell'olivo ascolano? Insomma: nun se po' vede' de annarsene alle Marche?"

E intanto che rifletto su come emigrare al centro Italia,
auguro a tutti una Buona Pasqua!
A presto!




Piccolo dizionario napoletano/italiano
Capa di morto: il Jolly Roger, il simbolo dei veleni?
Pacche: glutei

Pezzotte: in napoletano "una cosa appezzottata" è una cosa che cerca di imitare l'originale ma è solo una brutta copia. La parola si usa anche quando la copia è riuscita non c'è male, in quel caso si usa dire "ho fatto un pezzotto", "E' un po' pezzotta ma..."
Abboffata: troppo piena, troppo gonfia

Superchie: quelle che avanzano, l'eccesso

Arricreata: deliziata





17 marzo 2013

TIramisù con le pere e quel tanto che basta di frutti di bosco

 -Quando vieni? - 
-Mamma, non lo so, appena ho un minuto libero passo -
- Ah, quando passi mi porti un po' di savoiardi tuoi? - 
-Sì, ricordamelo, quanti te ne servono? - 
-Due pacchi - 
-OK, li devo comprare, allora - 
-E comprali, me li porti domani? -
-...-

Ho comprato due scatole di savoiardi della Shaer e li ho dimenticati sul tavolo.
Nottetempo qualcuno ha pensato bene di tentare una degustazione... Non so perché i gatti vadano pazzi per i savoiardi, non è così per gli altri biscotti. Al mattino ho trovato le confezioni tutte graffiate e mordicchiate.
Meno male che il packaging del celiaco è resistente!
Ho apparato i buchi con il nastro adesivo e ho portato le confezioni da mammà dove, candidamente, al cospetto di mia cognata, ho raccontato del perché le scatole fossero ridotte così...
Mia madre, divertita ed incazzata, ha osservato che non si offre agli ospiti del cibo che ha subito un... attentato!
Ho dunque scoperto che mia madre meditava di preparare un dolce completamente gluten free per la festicciola che si sarebbe tenuta in serata e, meravigliata da questa scelta, le prometto un altro paio di confezioni... SANE!
Sì, meravigliata, perché mia madre in cucina (e soprattutto nei dolci) raramente azzarda l'uso di un ingrediente sconosciuto.

-Assaggiamoli, va'!- propone mia madre.

I savoiardi della Shaer sembrano più biscottosi di quelli precedentemente comprati e hanno una buona faccia. Mia madre addenta un savoiardo e:
-Mio dio, che schifezza!-
-Mamma, ma quando mai - la contraddico io, masticandone un pezzo - sono ottimi - 
-Ma fammi il piacere! Non lo senti come sono ... allapposi?- (lasciano una fastidiosa patina a rivestire la mucosa della bocca)

-Ma... veramente io li trovo buoni! E anche Wumpus deve averla pensata così!- 
- Che brutto retrogusto. Mi meraviglio del tuo gatto. I gatti scelgono sempre bene e invece... -

La convinco a fare due dolci, uno per me con i savoiardi sgraffignati e aglutinici e uno per tutti gli altri, tradizionale e glutinoso.
Perché correre il rischio di fare un dolce che non piaccia?
A me sembrano come quelli normali ma magari ho già subito qualche mutazione e non mi ricordo più che sapore ha un savoiardo vero... Inoltre non soffro di sindromi da discriminazione, anzi, mi fa piacere che si pensi a rendere il mio pasto confortable. Se la soluzione è tutti insieme gluten free appassionatamente o una pietanza solitaria e personalizzata per me è indifferente.

 Alla fine mia madre ha fatto davvero due tiramisù, ha preparato prima quello per me (con i savoiardi gluten free and very well pawed)  e poi quello per gli altri, in modo da non contaminare la bagna e le farciture attraverso il contatto con il savoiardo nemico...


Questo tiramisù è davvero gustoso, veloce, facile e di sicuro impatto visivo.


Mia madre ricorda di aver letto la ricetta su una rivista... non si sa bene quale, sapete come sono le mamme... (quindi si perdonerà la mancanza di citazione)
E per le proporzioni ha fatto... sapete come sono le mamme? Alcune fanno ad occhio, alcune fanno a capa lloro e anche la mia improvvisa...

Savoiardi senza glutine
Pere (dolci e succose)
Zucchero
Cointreau
tre Uova (separate in albumi e tuorli)
Mascarpone 250 g
Frutti di bosco

Tagliare con anticipo le pere a tocchetti, raccogliere il succo e aggiungere abbastanza Cointreau da insaporire. Aggiustare con zucchero quanto basta.
Preparare la crema: montare tre tuorli con lo zucchero (tanto quanto basta a farli diventare spumosi)
e lavorare il composto con una scatola di mascarpone fino ad ottenere una crema soffice.
A parte montare gli albumi a neve fermissima.
Unire i due composti mescolando delicatamente, dall'alto verso il basso per non far smontare gli albumi

Bagnare i savoiardi nella bagna di succo di pere, quel tanto che basta a farli impregnare senza farli ammollare (e con i nostri senza glutine ce ne vuole!)
Prendere un vassoio rettangolare, della dimensione adatta alle vostre esigenze (e sulla dimesione del vassoio adattare il numero dei savoiardi)
fare uno strato di savoiardi e coprirlo con la crema. Cospargervi su i pezzetti di pera.
Fare un secondo strato di savoiardi e cospargerli di crema

Mettere in frigo e far raffreddare bene
Al momento di servire, guarnire il dolce con i frutti di bosco, precedentemente mescolati allo zucchero (quel tanto che basta per dar loro il contrasto dolce-amaro).
La ricetta originale prevedeva una guarnizione alle fragole ma la settimana scorsa le fragole fresche erano ancora acerbe.
(Non amo molto il sapore dei frutti di bosco ma li ho trovati così carini da fotografare...)

E anche noi ne abbiamo mangiato... quel tanto che basta...
Cioè TUTTO!
E i miei villi, frastornati da un indice glicemico alto quanto il K2, hanno assorbito in silenzio e mi hanno dedicato un sorrisetto ebbro!



13 marzo 2013

La bottega del celiaco (Itinerario celiaco n.1)

-Giovedì -

 La degustazione

Durante la settimana spesso le giornate scorrono ad una velocità talmente sostenuta che mi sembra di aver appena finito di mettermi il fondotinta ed invece mi sveglio di soprassalto mentre tento di assumere pose sempre più improbabili sul divano.

Giovedì scorso, però, sono tornata a casa poco dopo le diciassette. Ho trovato l'anacoreta intento a studiare roba informatica e a cucinare minestra di lenticchie, gatti sonnacchiosi e un soggiorno semplicemente da incendiare...  e mi sono ricordata che avevo ricevuto un invito per una degustazione in farmacia...
La farmacia dove mi rifornisco adesso è poco lontano da casa. Ho rinunciato a malincuore a frequentare quella nei pressi del Policlinico, ma questa è molto più comoda per le mie esigenze.

Giusy, l'addetta all'area gluten free, aveva allestito due tavoli, uno con pizzette, piadina rucola-prosciutto-parmigiano, tocchetti di pane-pizza imbottiti di melanzane, peperoni, salsicce e friarielli e un altro allietato dalla presenza di pasticceria mignon molto variegata, piccole graffes e mini krapfen.
Due simpatici ragazzi illustravano i loro prodotti, invitandoci ad assaggiare un po' di tutto. Che dire... io sono come San Gennaro, non dico mai di no e dopo la prima pizzetta non mi sono fatta certo pregare!.
Enzo e Biagio, questi sono i nomi dei titolari dell'attività, ci spiegano che sarà possibile prenotare i loro prodotti dal lunedì al giovedì in farmacia e passare a ritirare il cibo fresco il venerdì.
LA BOTTEGA DEL CELIACO, questo è il nome del laboratorio, è a Varcaturo, non precisamente addereto 'o vico (dietro l'angolo)... Mentre mastico un tocchetto di pizza alle melanzane (yummmm), i due ragazzi decantano anche i cornetti, la pasta fresca, il pane.
Ecco, ad un celiaco, per quanto organizzato e attivo in cucina, non far sentire mai la parola "PANE". I miei villi si sono tesi allo spasimo e mi hanno guidato (più o meno come il ratto Rémi guida il giovane cuoco di Ratatuille) verso le graffes...
DE-LI-ZIO-SE!!!!
Spiluccando qua e là,  (un pezzo di pizzetta, una zeppolina di San Giuseppe, un krapfen... uno più buono dell'altro!) ho approfittato anche per fare la spesa.
Intanto sono arrivati altri clienti, principalmente donne, che, dopo un primo momento di normalità, si sono avventate sulle guantiere! In una mezz'oretta, celiaci e non celiaci si son spazzolati tutto quello che sarebbe dovuto bastare fino alle venti!
Qualcuno è stata vista allontanarsi persino con una mappatella, termine locale per definire la doggy bag.
Bene. fin qui tutto normale.

Sabato mattina, in quella dolce fase che è il dormiveglia, vedo nitidamente i villi puntarmi alla tempia l'appendice cecale. Quelli più grossi, con il volto coperto dal passamontagna, mi intimano: o ci porti alla Bottega del celiaco o ti  facciamo venire un attacco e ti facciamo andare al Cardarelli!

-Sabato-

il tragitto

Costernata e oramai consapevole di essre alla mercè di un intestino indipendente e molto determinato, decido di assecondare questi miei villi delinquenti.
E' una giornata di sole strepitosa, andare fino a Varcaturo non sarà difficile,  devo solo capire come raggiungere l'indirizzo: via Ripuaria 158. Ho un amore vero verso le carte geografiche e un pessimo rapporto con il navigatore, per questo preferisco studiare l'itinerario prima di avere a che fare con quella voce saccentella che mi butta fuori strada due volte su tre.
"La Bottega del celiaco" ha la pagina feisbuc piena di foto e la mappa con l'ubicazione della bottega: un gioco da ragazzi! Riesco a farmi un'idea di dove andare mentre l'anacoreta dorme...
Perché io devo essere assolutamente convinta nel rispondere "Sì", quando Francesco, allarmato, mi chiederà "Ma ci sai arrivare?"
Perché ci sta pure un'altra cosa: detesto chiedere indicazioni stradali. Ci sono quelli che ti affogano di gira a destra e a sinistra e tu, alla terza svolta hai già smesso di memorizzare. Ci sono quelli che non sanno l'italiano e nemmeno il napoletano, ma parlano dialetti incomprensibili: "Tuorcete comme se tuorce 'a strada" (la strada ha una serie di curve, seguile). Ci sono quelli che invece di rispondere ti osservano fissi, muti, per almeno 180 secondi. Un tempo infinito per trattenersi dal ridere a crepapelle.
Sono le undici. Saluto Francesco, lo rassicuro, vado a fare un paio di servizi in zona e parto.
Perché, direte, il marito non ti accompagna a fare acquisti?
E se lo facesse, che anacoreta sarebbe??




Il navigatore mi manda verso Qualiano: no problem, non è l'itinerario che avevo studiato ma è una strada che ho fatto già qualche volta. Mi aspetto che poi mi porti sul  "doppio senso"... e invece no, il maledetto aggeggio mi porta nelle campagne qualianesi e io mi ritrovo a guidare lungo questa provinciale deserta che si snoda nel nulla... attorno a me piante, pianura, un po' di spazzatura e tante signorine dagli stivaloni alti e il passo dondolante... E chi si ferma per controllare la strada!!!!
Mentre guido, lievemente in tensione, ripasso mentalmente gli insegnamenti di CSI, il numero delle rapine che mi hanno recentemente raccontato e poi sento, in ordine, le parole di mia madre:
"Sei la solita pazza scatenata, prendi, ti avventuri tu sola.... alla fine il fatto che dici pure le bugie è meglio... almeno non sappiamo dove vai e non  stiamo in pensiero" (non dico bugie, al limite pecco in omissioni)
e quelle di mio marito:
"Possibile che in mano a te questo navigatore non funziona mai? Possibile che ogni volta che lo usi devi telefonarmi inviperita e devi prendertela con me? Innanzitutto non l'ho programmato io e poi tu non hai fiducia in lui..." (come potrei averne dopo che mi  ha quasi fatto finire a mare, una volta?)
Stringo i denti,  continuo lungo la strada ed il paesaggio si arricchisce di case. Bene.
Passo sul ponte della tangenziale, un sollievo! La vocetta mi dice di guidare per altri km, ubbidisco.
Praticamente 'sta str...ana apparecchiatura parlante mi fa percorre tutta via Ripuaria e mi porta a quello che secondo lei è il numero 158. E' un bar, con l'ingresso ornato da un nugolo di soldatoni NATO in uniforme mimetica. Gli omoni mi guardano e mi sorridono a cinquantotto denti. Sono  un poco preoccupata: scendo o non scendo a chiedere informazioni? Dovrei esserci quasi, anche la mappa su feisbuc indicava un luogo nei pressi della rotonda della domiziana, vicino alla quale mi trovo.
Decido di non interfacciare con i 'mmericani per i motivi di cui sopra e proseguo. Mi ritrovo in pineta e davanti all'entrata del lido "la Varca d'oro"
Torno indietro con un inversione di marcia un po' da ritiro della patente.
Sarebbe sensato orientarsi con i numeri civici, cosa possibile in ogni paese occidentale ma non nei dintorni di Napoli che stanno avanti e sono quasi come Tokyo.
Potrei telefonare alla bottega, ma a questo punto il piacere di trovarla da sola verrebbe meno... non ho fretta, il sole è caldo e l'arietta che entra dai finestrini è dolce...
Ho ripercorso il tratto abitato di via Ripuaria navigando "a vista" (mentre la saccentella continuava a dire gira a sinistra e torna indietro appena possibile con quel suo accento lombardoveneto e l'espressività di un facocero ), cercando un palazzetto bianco con ringhiera, scalini e un parrucchiere .
E finalmente ci sono!

La bottega del celiaco!

La bottega del celiaco è un negozietto piccolo e fresco fresco di apertura. Il bancone, decorato con il logo, è diviso in un lato rustico e un lato pasticceria. Dietro al banco Enzo, uno dei due ragazzi che ho conosciuto in farmacia, serve con gentilezza la signora che sta prima di me.
Mi guarda e dice:
-Salve, ma dove ci siamo visti?-
Io gli ricordo che ero alla farmacia Gaudio il giovedì precedente.
-Ah, signora, che piacere vedervi qui! - esclama lui
-Ero molto curiosa di vedere il posto e i vostri prodotti da vicino - dico io - anche perchè dopo sarà più facile ordinarli in farmacia, eventualmente-
-Ma certo,  mo' se aspettate pochi minuti esce il pane caldo caldo e pure qualche dolce, però... - e si apre in un grande sorriso - se venivate domani mattina questa parte qua- e indica il lato pasticceria - era pieno zeppo di dolci! - 
-yummmm- esclamo! -

Enzo continua a chiacchierare amabilmente mentre io osservo: le pizze hanno una bella faccia, così come i panini napoletani e tutti i prodotti salati. Mi porto via una pizzetta salsicce e friarielli e una vaschetta di frittura napoletana formato mignon, surgelata.
-Due minuti di forno tradizionale ed è come se l'aveste fritta voi!-
-Ah, non la devo friggere? - 
-Assolutamente no! Già fritta e surgelata subito. Signo', noi teniamo l'abbattitore, mica viene uguale a quelli che le mettono solo nel freezer...-
-Lo so!-
-Ecco, surgeliamo pure i cornetti, crema o cioccolato e li teniamo in offerta, tre cornetti a cinque euro-
Me li fa vedere e devo dire che i cornetti sono belli grossi e corposi, non sono "nani" come quelli confezionati.
Dalla porta che da' nel laboratorio (decorata con una bella spiga barrata), sbuca l'altro ragazzo con in mano una guantiera piena di pane: belle pagnotte brunite e gonfie, grandette e con una tessitura ruvida già piacevole alla vista.
Del profumo... non ne parliamo proprio! Una poesia!
-Stavate alla farmacia l'altro giorno, eh? - mi dice, io ripeto quello che ho detto ad Enzo
-Ma come mi fa piacere che siete venuta, giusto in tempo per prendervi il pane caldo!-
-Vedete - aggiunge Enzo indicandomi orgogliosamente le pagnotte - oggi abbiamo fatto un esperimento e abbiamo reso la superficie più ruvida con il mais, però fra poco escono anche i panini classici.-
Che dire, pure i panini classici sono proprio invitanti!

I due ragazzi hanno messo su un posto accogliente, sono garbati e simpatici, sanno vendere la propria merce e sanno anche promuoverla: hanno sia una pagina che un profilo facebook attivi, sito ben fatto e parecchi numeri telefonici da contattare.
Organizzano degustazioni in varie farmacie ed "esportano" prodotti in vari punti vendita. Organizzano anche eventi presso la loro bottega, insomma, investono in pubblicità!
 Suggerisco loro di mettere meglio le indicazioni stradali sul sito e di correggere quelle della pagina facebook che indicano un posto parecchio più avanti.

Vado via con una vaschetta di frittura, una pagnotta, due panini, un cornetto e una delizia al limone, (deliziosa solo a guardarla e della stessa grandezza di un dolce glutinoso): 15 euro.  Enzo mi fa scontrino e sconto!
Sto per andare e adocchio le zeppole di San Giuseppe appena sfornate ma mi vergogno di aggiungerne una al conto e penso alla linea... però ne approfitto per chiedere un po' di prezzi.
Dunque: i cornetti e  pizzette vengono 2€ e i dolci a grandezza naturale 3. Un euro in più al pezzo di un buon dolce glutinoso di pasticceria. Non male.
Il pane fresco è a 9€ al kg e la rosticceria, se non ricordo male, si aggira sui 19€ al Kg.
Saluto e mi dirigo verso casa: scelgo una strada che conosco, forse più lunga ma più trafficata.
La mia impressione sulla bottega è stata davvero super positiva: i ragazzi sono giovani, gentilissimi, simpatici, entusiasti e  pieni di iniziative, il posto è fresco, pulito ed accogliente, l'atmosfera è allegra e confidenziale.
Direte voi: che ce frega dell'atmosfera?
A me un po' me frega: se mi devo mettere in macchina e farmi 20 Km per approdare in un punto vendita squallido o con personale scostumato un po' ci penso...
E vediamo se i prodotti della bottega sono all'altezza delle mie aspettative...

A casa, si mangia!

Premetto: sono una persona normale dotata di normali capacità degustative e amante di ampia varietà di cibi (tradotto: me magno pure le pietre secche). Le mie sono opinioni personali che possono ovviamente non coincidere con quelle degli altri.
Bene.
La pizza con salsicce e friarielli me la sono magnata appena ritornata a casa.
Sebbene io sia dell'opinione che qualunque pizza vada mangiata IMMEDIATAMENTE dopo l'uscita dal forno e che il doppio riscaldamento nuoccia terribilmente alla regina dei piatti napoletani, giuro di aver goduto terribilmente nell'addentare questa pizzetta!  La pasta è soffice, l'altezza è alla napoletana (spiacenti, amanti delle pizze-sottiletta, a noi ci piace alta lievitata e ben cotta), gli ingredienti messi sopra sono ottimi. Mannaggia che è piccola, me ne sarei mangiate tre!!!
Poco male, mi riscaldo pure tre pezzi di frittura all'italiana, seguendo le indicazioni di Enzo.
Panzarottino, arancino e scagliuozzino (pezzetto di polenta fritta) Ottimi, non c'è che dire! Sembrano usciti dalla mia padella. E questo non per dire che so fare la frittura, ma che gli ingredienti, la qualità del fritto, la mozzarella dell'imbottitura sono come quelli che avrei scelto io.
Burp. Sono felicemente sazia.
Assaggio pure il pane, mentre lo taglio a fette e lo congelo (Ahimé, non posso fare altrimenti). Devo dire, la mia pagnotta non è perfetta (il "fondo" della pagnotta non è lievitato come la superficie) ma il sapore è eccezionale, il pane è ben cresciuto e pieno di saporitissimi buchi! Salato alla napoletana (quindi...salato!), morbida la mollica e sottile ma piacevolissima la crosticina!


Domenica mattina mi dedico alla parte zuccherosa: inizio facendo colazione con il cornetto. La prima cosa che apprezzo, di questo cornetto cotto e surgelato, è la dimensione (odio questi cibi aglutinici e nani) e la cottura: ben abbronzato e pieno di granellini di zucchero sulla superficie.
Mi lascia invece un poco delusa la consistenza, tropo compatta: Qui a Napoli ci sono due scuole di pensiero sui cornetti: quella "panosa" e quella "sfogliosa". Io ho una mia opinione precisa sul cornetto e lo preferisco ibrido (quasi impossibile da realizzare): giri di sfoglia sfogliati ma doppi, ripieno di crema ed amarena, untuosità pari allo zero, non troppo friabile, che poi ti ritrovi scaglie di cornetto anche nei calzini e non troppo panoso che se non ti bevi un litro di cappuccino ti annozzi (ti si ferma il boccone a metà esofago).
Dopo pranzo è stata la volta dell'ultima vittima, la delizia al limone e qui...
Spettacolo!
Grande la panna e la crema al limone.
Impegnativa ma interessantissima la fettina di limone.
perfetto il corpo del dolce.

I miei villi, che oramai si stanno tramutando in piccole salsicce avide di alimenti, consigliano assolutamente ai loro amici campani una visitina alla bottega del celiaco.
Io, che non avevo progettato affatto di buttar giù questa specie di recensione (e nemmeno questo numero sconsiderato di calorie!!! :-D )  spero di non aver urtato la sensibilità dei titolari della Bottega fotografando e parlando dei loro squisiti prodotti.
A proposito, le foto con la scritta "deglutinevolissimevolmente" sono le mie, le altre sono linkate dalla pagina facebook della bottega.
Quasi quasi, appena tempo e denaro me lo permetteranno, potrei anche pensare di afferrare la macchina fotografica e il block notes, mettermi gli scarponcini e fare l'inviata speciale dei miei villi...
Se qualcuno fonda "Il corriere del celiaco", "L'eco del tenue" o "Il resto dell'aglutinino" voglio fare il capo redattore!




.  




5 marzo 2013

La città della Scienza, oggi



In un prossimo futuro ci verrà forse detto
che è stata colpa della criminalità organizzata
o degli speculatori edilizi
o che i capannoni non erano a norma
Certe cose succedono se non ci sono i soldi 

per pagare il giusto numero di guardiani
per impiegare i materiali più adatti alle grandi opere
per condurre la manutenzione più scrupolosa
per mantenere la più alta efficienza degli impianti.
 

Certe cose succedono per poter ricostruire

Certe cose succedono sempre
quando non si investe in cultura...
Perché i tempi sono durissimi
e la cultura non si mangia
(Qualcuno tempo fa ce lo ha ricordato con disprezzo)
Ma oggi abbiamo imparato
che la cultura si può bruciare



La notte tra il 4 ed il 5 marzo 2013 un incendio ha distrutto la Città della Scienza,  polo museale, didattico e scientifico della città di Napoli, simbolo della rinascita dell'ex area industriale di Bagnoli.
Secondo le agenzie che si sono susseguite in queste ore La Città della Scienza era tra i muesi interattivi più all'avanguardia in Europa.
In questi ultimi anni abbiamo visto l'incuria far crollare le rovine di Pompei,
l'ingordigia inghiottire i tesori dei Gerolamini
il veleno invadere il nostro terreno.
Oggi si inceneriscono progetti e prospettive.
Basta

 (Foto tratte dall'agenzia Ansa e dalla rete)
 



3 marzo 2013

Fettuccine alla papalina

Oggi è il tre marzo e qui in Maran of Naples c'è un'arietta friccicarella e marzolina. 
In questi giorni il mio Wumpus, la dolce mascotte grigia, compie un anno ed è diventato un bellissimo, cattivissimo, intelligentissimo micione grigio scuro con sottopelo bianco.
In questi giorni compie un anno anche la mia sglutinizzazione ed è un anno che non mangio un cornetto o una pizza!
Ma l'anacoreta... L'anacoreta stamattina si è svegliato con il cuore rivolto alla Capitale e ha deciso di celebrare la strana situazione del Vaticano!
Sarà che Francesco è un uomo di spettacolo, sarà che questo improvviso clima primaverile mette allegria ma la nostra cucina si è improvvisamente tramutata in "Da Checco er carrettiere de Trastevere". Pure il gatto Tertullio (che con questo nome è calzatissimo nella parte) si è stravaccato sulla scheda audio come se fosse su una rovina dei fori imperiali.
(Per chi non ci frequenta dal vivo, è bene specificare che in cucina abbiamo sia la scheda sia altri strumenti che, oltre a produrre musica, sono anche adorati e caldi giacigli dei nostri coinquilini felini)


La ricetta delle fettuccine alla papalina l'ha trovata lui, quindi non saprei bene cosa citare,
L'anacoreta, calatosi completamente in panni romaneschi, ammette che "forze ce vorebbe er prociutto crudo" ma noi in casa abbiamo solo un bel mezzo culatello avellinese e che "du' funghetti trifolati nun hanno mai fatto male a nessuno"
Per un attimo lo vedo saltare  da Verdone a Sordi, immaginavo scegliesse di essere un Manfredi/Pasquino ma evidentemente un marito non  si conosce mai abbastanza e una frase mi toglie ogni dubbio:

 "Padreee!!!! Te sento e nun te sento!"

Con "Aniene" al comando dei fornelli e il "Sabato italiano" di Sergio Caputo in sottofondo non mi restava che partecipare al reperimento degli ingredienti e alla loro disposizione sul piano di lavoro.

Dal freezer ho preso:
  • 170 g di piselli surgelati
  • una grossa manciata di funghi misti
dal frigo:
  • una busta di panna
  • un uovo intero e due tuorli
  • mezza cipolla
  • una noce di burro
  • il culatello, dal quale ho tagliato una bella fetta spessa.
e dalla dispensa le fettuccine, glutinose per lui,. aglutiniche per lei.

Francesco, brandendo un pericolosissimo coltello di ceramica, cambia la colonna sonora e taglia il culatello a dadini, in una padella trifola la manciata di funghetti e in un'altra cuoce i piselli con  la noce di burro, le cipolle e il culatello a ritmo del principe, che dico, dell'imperatore assoluto  del cantautorato romano!
"Sotto il segno dei pesci", che disco! Forse non lo sentivo dai tempi delle prime festicciole delle medie e stamattina ci sta davvero bene.
Mentre Francesco sistema le due pentole per le fettuccine, io sbatto le uova col parmigiano e con la panna al tempo di "Bomba o non bomba". Eh sì, una pentola per fettuccine glutinose per il novello Aniene e una per le mie sglutinate (Stavolta ho provato la pasta Bioalimenta che mi è piaciuta molto)

Venditti ci accompagna con
"Sono le setteeeee e tu devi andare a scuolaaaaaaaa", 
L'anacoreta/Aniene ed io saltiamo fettuccine seguendo un complicato rituale di scolatura pasta con scostamento temporale controllato e distribuzione condimenti con sequenza agluten/gluten che potremmo applicarci una spiga barrata in fronte, tanto siamo precisi!
Due colapasta e due serie di attrezzini, forme diverse, acciaio per lui e colorati per me, che io sono celiaca e distratta e lui è glutinofago ma un po' talpa.

"Sono stato sceso sulla tera in mezzo ai mortali per riparare i primi e trionfare 'ste fettucine"

Aho', pranzare con Aniene non è cosa di tutti i giorni!
Tra una fettuccina e l'altra mi confessa che non è nemmeno sicuro dei piselli, che sulla ricetta di giallo zafferano non c'erano e in altre sì
"France' - gli chiedo - ma allora so' papaline o no queste fettucine?"
(Papaline o non son buone sì!)
"E chenneso'? - (Aniene, esci da questo corpo!!!!) - Per me so' papaline sì! Ma è un papalino - maranizzato!"
"France', a questo punto fotografo gli avanzi e lascio testimonianza scritta della mattinata... mica ti da' fastidio?"
"Ma che fastidio e fastidio!"
Smack! Pciù  - evidenti manifestazioni di gratitudine - "Sono sicura che ad altri potrebbe dare fastidio..."
"Ma io so' io e 'l'altri non so un ..."




2 marzo 2013

Riso nero


Riso nero,
dopo la lasagna avremo il riso nero...

Dovete sapere che un gruppetto dei miei villi prende lezioni di canto e si è premurato di intonarmi questo motivetto di qualche anno fa. Inoltre il Prof. Villchowsky, Maestro del coro,  ci ha tenuto a farmi sapere che i villi canterini, per quanto avessero avuto un'adolescenza e una giovinezza travagliata, non si erano fatti mancare la buona musica.



Non voglio sembrare poco politically correct dicendo che i Pitura Freska non siano buona musica - oggi non si usa più parlare male degli artisti -  e poi ho sempre amato i musicanti surreali e demenziali.
Però mi piacerebbe far sapere a questi ragazzini arroccati nel tenue che la buona musica forse è un'altra...

Da quando sono a dieta senza glutine ho cucinato mooooolto più di quanto non facessi prima. Io, anzi noi, ci siamo sempre dedicati alla cucina: in questa casa non ha mai fatto ingresso roba che salta in padella o brodi zupposi e da tempo non si vedono bastoncini, spinacine, giravoltine, cordon bleu  ecc ecc...
Poi il fatto che abitiamo una cucina-studio la dice lunga...

Si finisce per  cucinare di più perché le cose già pronte e sglutinose non tanto mi piacciono e poi c'è il piacere di preparare, di mettere in tavola, di rallegrare pasti che potrebbero scivolare pericolosamente nello squallore e nella monotonia... Perchè, parliamoci chiaro, questa faccenda della celiachia è piuttosto rompente: poiché  comprare cibo sglutinato può diventare un affare di stato, piano piano si finisce per mangiare sempre le stesse cose...
Diciamo che un po' tutti noi tendiamo a mangiare sempre la solita minestra... ma se lo fai per fretta, per pigrizia, per dieta o per ripicca allora va tutto bene, se lo fai perché sei celiaco corri il rischio di sentirti frustrato.
E qui non vogliamo correre nessun rischio, per cui via alla preparazione di cose un po' diverse dal solito!
Proprio in quest'ottica tempo fa comprai una confezione di riso Venere. Il fatto che fosse nero mi intrigava e mi faceva immaginare ricette da Masterchef.
L'ultima volta (nell'era glutinosa) che avevo comprato cibo scuro - dei tortelloni al nero di seppia ripieni di gamberetti -  mio marito si era ammutinato e aveva preferito cenare con un pezzo di formaggio. I tortelloni erano pessimi ma io, pur di mantenere il punto, me li mangiai tutti lo stesso!
Quindi un po' per riscatto e un po' per una buona sensazione, riponevo grandi speranze nel riso Venere.
In seguito alle pressanti richieste dei villi (che devono aver sbirciato nella dispensa), domenica scorsa mi sono messa a cercare una ricetta che fosse veloce e fattibile. Non avevamo voglia di cose marine ma in casa avevo zucca e salsiccia per cui questa ricetta qua, da Cardamomo e Co.,  mi è sembrata facile, veloce, realizzabile ed appetitosa.
  • Ho scongelato due salsicce del mio fido macellaio di Serino(AV) che non introduce farine nel suo laboratorio di macellazione/insaccatura
  • ho tagliato a rondelle sottili sottili due cipolle e mezzo
  • ho tagliato a dadini una bella fetta di zucca matura. Quanta? Sinceramente non ne ho idea, ma sarà stata doppia 3-4 dita.
  • Ho soffritto metà dose di cipolla con un filo d'olio e mezzo peperoncino, poi ci ho tuffato la zucca e l'ho cotta fino al disfacimento. L'ho salata, ho aspettato che si raffreddasse e l'ho frullata, proprio come descritto nella ricetta originale.
  • Con l'altra mezza dose di cipolla ho saltato le due salsicce preventivamente private del budello.
FInalmente ho preso la confezione di riso Venere (Gallo) dalla dispensa e, un po' perché sono sempre curiosa, un po' perché leggere le etichette sta diventando una routine, ho inforcato gli occhiali e ho inziato a leggere...
ORRORE: al lato della confezione chiaramente c'è scritto:
Prodotto in uno stabilimento che utilizza anche cereali contenenti glutine, soia e loro derivati.
Ora io sono neofita e ancora abbastanza ignorante in materia ma mi ero fatta l'idea che i cereali sicuri fossero SEMPRE sicuri...
Cioé: è la prima volta che mi viene in mente di leggermi l'etichetta del riso...
Bisogna leggere sempre le etichette del riso o questo è diverso da quelli canonici?
Sono stata io ad essere avventata e a non leggere l'etichetta durante l'acquisto?
Insomma, io non so più se vado a fare la spesa o alla Biblioteca Nazionale, se varco le porte del supermercato senza gli occhiali per leggere da vicino son fottuta!
In genere cerco di fare i compiti a casa e di dirigermi verso gli acquisti con una nota spesa dettagliata tipo:
  • Maionese - "elenco di molte marche aglutiniche presenti in prontuario" 
  • Grana padano -  OK (compra qualsiasi tipologia, è  OK)
  • Penne e rigatoni F (sono per francesco, va bene di tutto)

Che fare?
Ho riflettuto un po' e poi ho deciso di mangiarlo, previo accurato prelavaggio prima della bollitura.
Ho pensato: ma se il riso o le parti della confezione sono entrate in contatto con altri cereali, il riso non le avrà assorbite e con l'acqua le allontanerò... Ecco, non voglio pubblicizzare positivamente un comportamento rischioso ma vorrei sottolineare che per un celiaco alle prime armi il livello di attenzione deve essere sempre alto anche con alimenti sicuri ma non convenzionali...
Insomma, ho sciacquato ben bene questo riso e poi l'ho lessato.
A contatto con l'acqua calda ha sprigionato un odore di ... Edenlandia!!! Il parco giochi più grande e famoso della nostra infanzia e giovinezza partenopea, dove regnava un'odore unico, di graffe fritta mista a pop corn salati...
(ho pescato davvero una foto d'epoca!)
Sarei stata ore ed ore proustianamente davanti a quella pentola e in effetti ci sono stata 40 minuti, visto che
'sto riso nero non se coce maje 
ed è rimasto comunque molto, molto al dente.
L'ho scolato e ripassato con un cubetto di burro e poi ho cercato di fare una cupoletta da adagiare su un laghetto di zucca sistemata sul fondo del piatto...

Ahimè, Masterchef non fa per me... Sentivo lo spatascio dietro l'angolo e prima di ritrovarmi schizzi di mousse di zucca ovunque, ho deciso di ridimensionare la presentazione... :-)

Adesso io e l'Anacoreta lo dobbiamo confessare: a noi il riso Venere non ci ha fatto saltare dalla sedia. Almeno, per come sono riuscita a cucinarlo io:

  1. l'impatto "nero" nel piatto ha una sua rilevanza, a me è piaciuto, a Francesco molto di meno
  2. i colori erano molto interessanti: questo violaceo scuro del riso con l'arancione della zucca e il lucido dei pezzetti di salsiccia... contrasto carino, non c'è che dire
  3. io mi aspettavo un sapore pari all'odore sprigionato durante la cottura, invece questo sapore non l'ho notato e la cosa mi ha deluso un po'.
  4. l'Anacoreta ha trovato i chicchi troppo "sciolti" tra loro e poco saporiti.
  5. a me invece è piaciuta proprio questa tendenza dei chicchi a rimanere molto separati e molto al dente.
  6. "Forse è più adatto a sposarsi con crostacei e molluschi - ha detto l'Anacoreta - quando LO MANGERAI DI NUOVO MI FARAI SAPERE!" (il marito mi ha lanciato un messaggio neanche troppo subliminale: mai più riso Venere nel mio piatto)
  7. Alla fine concenderò al riso Venere un'altra prova, massimo due: considerandone il costo, la contaminazione, il poco entusiasmo verso il sapore mi chiedo: perché insistere? Riprovo perché magari qui ho sbagliato quacosa ed un esperimento va ripetuto almeno tre volte...

Il connubio riso, salsiccia e zucca è interessantissimo e l'Anacoreta lo vede molto più appropriato ad un riso bianco senza tante velleità esotiche.
Da fotografare invece è stato molto divertente e pure di effetto, oramai sfogo la mia voglia di macro sugli alimenti e non più sui fiori, chi me lo doveva dire che in vecchiaia avrei iniziato a pensare alle foto indoor piuttosto che andarmene in giro per viottoli campestri?

Sono rimasta sì un po' delusa dal riso Venere ma non tantissimo: me lo sono portato anche  al lavoro per pranzare il giorno dopo e l'ho "acconciato" in questa formina.
Il riso Venere del giorno dopo è tale e quale a quello del giorno prima ma non vi illudete: al laboratorio non è mai arrivato con questo aspetto grazioso, mi si è capovolto il contenitore e la zucca mi si è spiaccicata tutta sul coperchio...
(un giorno racconterò della mia passione per le schiscette e le mie avventure con i pranzi fuori casa)

I villi, dal canto loro, sono rimasti soddisfattissimi e hanno passato la maggior parte della domenica pomeriggio a fronteggiare il pericarpo scuro del Venere. Si sono spuzzuliati gli antociani e hanno pure fatto il ruttino per il quantitativo di ferro, magnesio e selenio. Glutine non ne hanno notato, il maestro Villchowsky a transito avvenuto ha fatto intonare una marcetta e ha passato lo spartito al Maestro Colonovi č la cui orchestra di legni e ottoni è rimasta provvidenzialmente in silenzio...


  

21 febbraio 2013

Tortillas de maìz caseras


San Antonio, Texas, decima città degli Stati Uniti a 200 km dalla frontiera messicana, è un posto che con l'idea dell'America di sex and the City non ci azzecca proprio niente.

Quando vi approdai, esattamente diciassette anni fa, portavo nella mia valigia da emigrante una moka, due pacchetti di caffé e due pezzi di Parmigiano Reggiano sottovuoto.
Ora non vorrei sembrare mia nonna, ma diciassette anni fa le cose erano davvero diverse: le informazioni non viaggiavano così copiosamente e velocemente sull'internet, la casella di email si otteneva in abbonamento (qualcuno si ricorda le xxx@mbox.vol.it?) ed eravamo in balia dei fax. I cellulari GSM erano neonati e sms, voip e banda larga erano impensabili. Si usava il telefono pubblico e i numeri si cercavano sugli elenchi.
Il cibo degli Stati Uniti, a quei tempi, era circondato da un alone di leggende metropolitane e informazioni tendenziose, tipo l'amica che giura di essere sopravvissuta mangiando per 15 giorni solo burro di noccioline o ristoranti che mettono la pasta ad ammollare in acqua il giorno prima di servirla.
Con le mie scorte in valigia mi assicuravo una tazza di caffè e un sapore assolutamente italiano per tutto il tempo necessario all'organizzazione iniziale.
Già,  una tazzina di caffé... non avevo portato con me le tazzine, ma questa è un'altra storia...

San Antonio non somiglia alle grandi città dei film, non sta nel deserto o tra i canyon  tipo Ombre Rosse, intorno non ci sono distese di campi o case coloniali come in  Via col vento. Non ha un downtown futuristico alla Seattle e non ci sono pozzi di petrolio a perdita d'occhio o mandrie di vacche e cavalli selvaggi che galoppano come nella serie televisiva "Dallas". In ultimo, il suo skyline non ha niente a che vedere con quello mozzafiato di New York (qualche grattacielo e la Tower of Americans che è tutta un programma)

Però ci sono i messicani.

A San Antonio i messicani vivono  da generazioni (mancano invece gli italiani e gli afroamericani) e del loro contributo è colorata tutta la città.

 L'aspetto del downtown è caratteristico, con le sponde del San Antonio river che pullulano di localini dove si mangia, si beve e si suona dal vivo. Tali sponde in primavera/estate pullulano anche di mandrie di scarfaggi. E se uso il termine "mandrie" è per dare un'idea della dimensione degli scarrafoni... Nonostante gli insettacci, i "Sanantoniesi" sono convinti che la loro città sia la Venezia degli States... (shhh, sarebbe inutile dire che sono in errore, sono troppo razionali e lievemente tonti per capire dove sia la differenza tra un fiume con le sponde abitate e Venezia)

Ci sono due cose che a San Antonio hanno perso la loro identità primigenia: la lingua e la cucina.
Entrambe hanno lo stesso nome: Tex Mex.
Sul dialetto, incomprensibile come solo un mix di termini spagnoli e inglesi (pronunciati alla texana) può essere, eviterei qualsiasi tipo di commento: nessuno sarebbe in grado di descriverlo.
La cucina TexMex è deliziosa, riunisce il meglio delle tradizioni messicane con quelle care agli americani. Vivere questo modo di cucinare è un po' diverso (in meglio) che leggerne: la verità è che i caposaldi della cucina Mex, peperoncini, mais, riso, fagioli e uova qui si arricchiscono di carne (e che carne!), dolcetti e biscotti Tex  mentre le spezie e gli aromi Mex invadono a loro volta i punti di forza della cucina Tex in un connubio dolce e piccante.

La comida de San Antonio mi è rimasta nel cuore, tanto està rica... e come non essere tentata dal rimetterla in campo, visto che è sostanzialmente a base di mais e riso, povera di cereali pericolosi (facilmente aggirabili), gustosa, colorata e un po' diversa dal solito?
Quindi, con la dovuta devozione ed attenzione ho iniziato a riordinare le idee. In tutti questi anni ho sì cucinato texmex ma sporadicamente, per via della difficile reperibilità delle spezie giuste.
Nel mio periodo a San Antonio lavoravo in un laboratorio molto internazionale, dove tutti erano delle ottime forchette ma nessuno sapeva cucinare. La maggior parte degli ospiti veniva dalla Spagna, poi c'era un messicano, un coreano, qualche cinese e due brasiliane. Diciamo che tra latini abbiamo fatto subito comunella. E spesso il sabato Tina (la moglie del prof Messicano) e la sua mama ci invitavano a cena.
"Cena" non è la parola adatta. A casa di Tina e Genaro si cenava verso le cinque e mezza del pomeriggio. Le loro abitudini erano: ricco breakfast mattutino, uno snack a base di nachos o altri  stuzzichini alle 12:30 e a tavola una volta a casa, di ritorno dal lavoro.
Si iniziava con un pico de gallo, piccoli pezzi di tortilla fritti da intingere in una specie di insalata di pomodoro piccante tagliata a pezzi piccolissimi tanto da sembrare una salsa e si andava avanti con tacos ripieni di carnitas, di verdure e conditi con le tipiche salse dal nome ispanico ma dal gusto 'mmericano: guacamole dip e cream de queso (saranno state pure trash food ma erano spazialmente buone). Carne alla griglia, oppure, nei giorni di festa, mole.
Poco dolce, molto tequila.
Per cominciare ad addentrarci nel TexMex c'è bisogno di partire dal cuore.


E in questo caso il cuore della cucina TexMex è avvolto in un sottile disco di farina di mais, la tortilla.
La tortilla somiglia ad una piadina (di quelle originali ho un ricordo lontano, ben più antico di 17 anni) , che può essere fatta di maiz, di grano (harina blanca) e mista. Con il termine tortilla si indica anche la frittata.
I messicani prediligono la tortilla di mais integrale (o mista, a seconda della regione), i 'mmericani con poco sangue Mex la amano mista a farina di grano o blanca.
A noi che rifuggiamo il glutine piace pensarla come i messicani più puri.
La tortilla è una specie di jolly, un'entità trasformabile di volta in volta in tacos, nachos, echiladas, gorditas, fajitas, chiminangas,  burritos e quesadillas 

Tina e sua madre compravano spessissimo tortillas già fatte ma altrettanto spesso le confezionavano da sole. Avevano una pressa di alluminio (tipo quella per le cialde)  e con un paio di movimenti producevano dischi perfetti. Tina mi diceva sempre che il segreto della tortilla è la farina, che non è una farina di mais come le altre. La masa harina, quella adatta alle tortillas, ha subito un processo di cottura particolare. Lei sosteneva che lì, in Texas non aveva mai trovato quella fresca e si accontentava di quella commerciale.
Qui in Italia so che si trova abbastanza facilmente la farina Maseca. Per me la Masa più comune da trovare in negozio è quella P.A.N, che ho utilizzato con successo in tempi glutinosi. 
Purtroppo non è glutinopriva e per noi del club non va bene. Così ho provato la farina per pane di mais della Loconte, facilissima da trovare al super (per me), garantita senza glutine e adatta per fare le arepas (roba panosa argentina)
La ricetta per fare le tortillas è facilissima:
  • 2 tazze di masa harina
  • 1 bicchiere e mezzo di acqua tiepida
  • 1/2 cucchiaino di sale
  • 1 cucchiaino d'olio d'oliva.


Il cucchiaino di olio di oliva è una mia idea, la sensazione che mi da' è quella di elasticizzare la palla di farina. 
La masa va impastata aggiungendo poca acqua per volta. Per noi che viviamo deglutinevolissimevolmente sarà uno scherzetto: questa farina è davvero "facile", per chi invece non ha dimestichezza con le altre farine, bisogna lavorarla fino ad avere la sensazione di avere tra le mani una palla di plastilina.
La masa si compatta benissimo e rimane piacevolmente ruvida. Mentre impastiamo aggiungiamo il sale e il filo d'olio. Avvolgiamola nella pellicola e mettiamola a riposare, minimo un quarto d'ora, meglio un'oretta (più riposa meglio è, basta che si mantenga umida, secca facilmente)
Dividiamo ora la pasta in tante palline, diciamo della dimensione di un uovo piccolo.
Ovviamente non ho la pressa per le tortillas e mi sono ingegnata ad appiattire le palline a mano e a spianarle tra due fogli di carta forno, con il mattarello. Il disco deve essere di una ventina di cm di diametro. Se si azzecca ai fogli di carta forno, aggiungere farina all'impasto. Se i bordi del disco si rompono facilmente, aggiungere un goccio d'acqua. Per farle carine e regolari, metto un bel piatto sulla tortilla distesa e taglio i bordi in modo regolare.

Ho visto che molti usano distenderle tra due sacchetti per la congelazione e le pressano con l'aiuto di una pirofila (proverò così la prossima volta che le faccio)

Ovviamente non ho nemmeno un comal, la piastra di ghisa che serve a cuocerle. Basta una padella antiaderente ed il risultato è raggiunto.  Bisogna riscaldare la padella per benino, adagiarvi la tortilla e attendere una quindicina di secondi, girarla e farla cuocere sull'altro lato per pochi secondi, girarla ancora e così via. In totale deve permanere sul fuoco un paio di minuti. Una tortilla che si abboffa è una buona tortilla!
Ora uno dei miei divertimenti principali è quello di girarle con un movimento "da grande chef", lanciandole per aria e facendole riatterrare nella padella. Giuro, con le tortillas è facilissimo!!!

Quando l'altro sabato le ho preparate, mentre mi esibivo in questa prodezza il manico della padella si è fatto in due parti. Ho lanciato in aria non solo la tortilla, ma anche il corpo arroventato della padella, a rischio di farmi davvero molto male
Per fortuna siamo usciti tutti indenni da questo piccolo incidente: io, gatti, fornelli, anacoreta e ... tortillas!
Io, che sono irrazionalmente e napoletanamente superstiziosa, penso che ci sia qualcuno con l'occhio secco che mi lancia strali di sfiga

La tortilla è cotta quando porta qualche sbruciacchiatura ma è ancora morbida. A me piace un pochino arruscata, l'importante è che non sia biscottata. 
A questo punto bisogna levarla dalla padella/comal e conservarla... qui entra in gioco un altro accessorio necessario e indispensabile : el tortillero!

Tina ne aveva uno tipo quello chiaro, dentro vi adagiava un tovagliolo bagnato in acqua bollente e ben strizzato, sopra vi metteva un altro tovagliolo asciutto.
Le tortillas si consumano calde. Quando sono calde sono piegabili e maneggevoli, quando si raffreddano lo sono molto di meno. Non so se il trucco del tovagliolo sia diffuso o meno però funziona.
Tina scaldava o cuoceva le sue tortillas sul comal e poi infilava tutto nel tortillero caldo e portava a tavola. Io, che al momento non ho ancora trovato una soluzione simpatica per ovviare alla mancanza del tortillero, le avvolgo nel fazzolettone bagnato e strizzato. Attenzione, perchè con troppa umidità o a contatto con l'acqua la tortilla diventa limacciosa, se lasciata all'aria diventa rigida come un freesbee...



A casa di Tina, noi commensali sfilavamo una tortilla dal cesto, la adagiavamo nel piatto e la riempivamo con tutte le salsine buone messe a disposizione al centro del tavolo. Si arrotola la tortilla come una crepe ed essa, magicamente, cambia nome e diventa un taco! El taco si mangia con le mani e con abilità per non far schizzare tutto il contenuto fuori dai confini del piatto!



Io, in questo primo approccio ne ho preparate pochissime, per riempirle ho usato una banalissima insalata di patate e pomodori con cipolla cruda tagliata a fettine sottilissime e polvere di peperoncino di cayenna... e un pochino di panna acida (un po' troppo acida stavolta) giusto per avere quella sensazione di texmessicanità...

Non so come l'anacoreta si ponga con queste mie velleità d'oltreoceano (l'anacoreta legge quello che scrivo ma non ama commentare)  ma intenderei perseverare. La strada è lunga:

  • due avocados sono a maturare nel frigo
  • devo andare a caccia di peperoncini adatti
  • devo individuare chi ha piantato il suo occhio secco sulla mia cucina.
A proposito, su facebook ho anche lanciato un appello ai miei amici: "Non mi secciate, vi invito a cena", ma nessuno si è fatto avanti!!!!
Allora sono passata al contrattacco, al mercato ho trovato una specie di comal e me lo sono comprato.
Tié!!!!!
E se qualcuno prova ancora a gufarmi i piatti... glielo suono in testa!

Invece qualcuno ha segnalato  Deglutinevolissimevolmente alla Shar! 
E stato un pensiero carino e anche la motivazione mi piace tantissimo. Grazie, anonimo segnalatore! 

E i villi?
Cosa ne pensano i villi delle tortillas?
 Avrebbero voluto esprimere il loro pensiero ma, essendosi spostati di fuso orario, hanno perso la sincronia con la pubblicazione del post. E poi, quando ho finito di scrivere, si erano abbandonati senza ritegno alla siesta pomeridiana...
Olé!

Fonte: Cucinare TexMex, Georgina Adams

Piccolo dizionario napoletano italiano:
Scarrafone: scarafaggio
fare comunella:  fare velocemente amicizia prestandosi anche oggetti e facendosi confidenze strette
occhio secco: il portatore di occhio secco è uno jettatore, lì dove si poggia lo sguardo dell'occhio secco, avverrà un incidente
Secciare: lanciare il malaugurio su qualcuno o qualcosa, anche involontariamente.











17 febbraio 2013

Minestra di minestra (ecco come attirare le ire dei napoletani, dei naturalisti e dei cuochi in un colpo solo)

"'A Menesta... 'a menesta... scennite e accattateve 'a menesta!!!"


(La minestra, la minestra, scendete e venite a comprare la minestra)

La prima volta che ho sentito questo slogan mi sono incuriosita non poco. Possibile che esistano ancora gli ambulanti che vendono il cibo cucinato?
Da poco mi ero trasferita nella periferia Nord di Napoli e nel quavtieve vesidenziale da cui provenivo non avevo mai incontrato questo tipo di bancarellaio. Grande è stata la mia delusione quando ho scoperto che la Minestra è un tipo di verdura, non un piatto caldo già cucinato!
Non avevo mai visto questa verdura, non compariva sui banchi dei fruttivendoli del mio giovanile quavtieve bene.
Che cosa si farà mai con questa verdura?
Ci sono due modi per scoprirlo:
  • indagare in proprio
  • chiedere a mammà o ad altre amiche
  • chiedere alle mie compaesane
Tutte le metodologie si sono rivelate ben presto improponibili.
"minestra" mal si adatta ad essere usata come parola chiave, specie se accoppiata a  "vegetale" "erba" "napoletana" "verdura". Difficile poi competere con la ben più famosa "Minestra maritata (menesta ammaretata)" tipico piatto natalizio la cui ricetta spadroneggia sul WEB in infinte versioni.
Mammà non ha mai sentito nominare questo vegetale, nemmeno le sue amiche. 
In quanto a chiedere alle signore del condominio ... GIAMMAI!!
In questa zona la gente ha una mentalità piuttosto tradizionale mentre io e l'anacoreta siamo già abbastanza famosi per essere l'opposto di una normale coppia di napoletani. Qui (non a Marano, che è un posto normalissimo, ma nei due-tre isolati che mi circondano)  la donna, anche se esce, ovvero va a lavorare come faccio io, mantiene il suo ruolo di massaia al 100%.

Se facessi sapere alle mie vicine che non conosco la ricetta dd''a menesta, diventerei lo zimbello del quartiere (cosa che probabilmente già sono).
 Sarebbe stato più semplice se fossi stata in grado di riconoscere la varietà cui appartiene la verdura...
Ahi ahi, cosa diceva il mio prof. di Botanica II??
"Voi questa Sistematica la dovete studiare!! Ora vi pare inutile, poi vedrete quando farete i concorsi a cattedra o andrete a comprare la frutta... quante figuracce farete!"
Non ho ascoltato affatto il professore di Botanica e si vede.
Pure il mio fruttivendolo (che è tunisino) conosce vita morte e miracoli degli ortaggi campani molto meglio di me.
Avrei potuto chiedere consiglio proprio a Samir ma non mi andava poi di essere interrogata... Eh, il mio fruttivendolo è un professionista a tutto tondo, prima fa una lezione - che so, sulle varietà di arance -  e la volta successiva... interroga!!! Le mie figuracce non si contano.
L'altro giorno la Minestra era lì, bene in vista tra le altre verdure. Eravamo vicini al mercoledì delle ceneri, un'altra delle sue caratteristiche è di essere tipicamente venduta nei momenti dell'anno "di magro".
Ho preso coraggio e finalmente l'ho comprata.

Non sono riuscita a scoprire quale sia il nome comune del malefico vegetale,  a me sembra un mix di piante broccoliformi diverse tra loro, nel senso che i ciuffetti o hanno le foglie ovali o le hanno frastagliate.
(Visto quale è il livello della mia cultura botanica?
:D)
Quello che posso garantire è che la piantina di sinistra è meno pelosa della borragine mentre quella di destra non ha né il sapore dei friarielli né quello della cicoria.

Per cucinarla ho fatto una cosa semplicissima: l'ho pulita (puff puff, pant pant, era sporchissima, piena di terreno e fango), bollita per una decina di minuti e poi l'ho immersa in acqua fredda, come si fa con la "minestra nera" un'altra verdura delle nostre parti che si fa in brodo.
A parte, l'anacoreta ha preparato un bel brodo con un pezzo di carne intero, un "mazzetto" (cipolla, carota, tanto sedano e foglioline di erbette aromatiche), una patata.
Un quarto d'ora prima di andare in tavola, ho ripassato la Minestra in padella, con olio extrav. e pezzetti di pancetta e poi l'ho tuffata  nel brodo (privato del mazzetto e della patata).
Noi cuciniamo spesso in tandem, vuoi per piacere personale, vuoi per rendere meno convulsa la preparazione delle cene infrasettimanali,

Ce la siamo pappata  nel piatto fondo, con tanto brodo e le scorza di parmigiano tagliata a dadini (a chi piace...) e poi, per secondo piatto, la carne...
Piatto semplice, caldo, saporito, sglutinato... cosa si vuole di più dalla vita?

"Vogliamo la PASTA"

è la richiesta che parte impetuosa dal tenue e risale velocemente attraverso piloro, stomaco, cardias, esofago e...

Benedetti villi, avete ottenuto quello che volevate e si sta facendo il meglio per farvi tornare alti e slanciati. Ma pure la sottoscritta vorrebbe evitare di ritornare a forma di sfera...
E se nella pentola ci mettiamo le erbette della tradizione, durante la preparazione ci ascoltiamo questa operazione fantastisca che hanno fatto i nostri amici Salvio e Valentina. A parole mie vi dico che questo album ha l'enorme dono di essere antico, elettronico e attuale tutto in una volta. La voce di Valentina accarezza come quella delle fate e blandisce come quella delle streghe. E la ritmica di Salvio parla al nostro orecchio ancestrale e contemporaneamente intenerisce la carne da brodo.
Il Tesoro di San Gennaro







11 febbraio 2013

Chiacchiere, bugie e tarantelle!

Chiacchiere, frappe, cenci, bugie... 
Qui a Napoli si chiamano chiacchiere, è indiscutibile. E potevo farmi mai mancare chiacchiere e lasagne in questo mio primo Carnevale gluten free?
Non se ne parlava nemmeno, nonostante tutto cospirasse contro di me!
La fornitura di pasta a forma di lasagna deve aver scansato Napoli e dintorni, manca al "Paradiso del celiaco" (la farmacia in cui ultimamente mi rifornisco), manca al supermercato... è destino che la debba fare da me!
I miei esperimenti culinari continuano tra alti e bassi, ultimamente confesso di aver commesso altri spatascetti, complice la mancanza di tempo, l'inesperienza e la mia proverbiale distrazione...

Ma le chiacchiere... caspita, sono sempre stata la reginetta delle chiacchiere da quando sono maggiorenne!
Le ho sempre fatte con la Pastamatic, un aggeggio infernale che mia nonna regalò a mia madre e che mia madre ha passato a me. Mamma non ne sopporta il rumore e la lentezza esacerbante, io, invece, sono sempre stata appassionata di macchine. Quando ero ragazzina non mi dispiacevano neanche i fornai della pubblicità (ve la ricordate? Pastamatic, la forza di cento braccia!)
 In tutti questi anni i bicipiti pagnottosi dei fornai si saranno avvizziti ma la mia Pastamatic funziona gagliardamente almeno dal 1985!
Ecco, e quest'anno, comme aggia fa???
Mi sono rimboccata le maniche e, innanzitutto ho bonificato la Pastamatic.
L'ho aperta tutta quanta, ho spazzolato per bene tutte le parti che avrebbero potuto nascondere farine contaminanti e ho lavato in lavastoviglie tutte le parti mobili consentite. (Se non avete dimestichezza con l'elettricità non cimentatevi! Io sono un poco temeraria, però ho avuto un bravo maestro e qualche piccola riparazione mi riesce)
Poi sono andata a caccia di una ricetta sglutinata.
Stavolta mi è venuta in aiuto Raffaella con le sue bellissime bugie, mi sono fatta ispirare dalle sue proporzioni ma ho mantenuto gli ingredienti della mia ricetta:

150 gr di farina per pane e pasta lievitate BiAglut
1 uovo intero
40 g di zucchero
1 cucchiaio di olio di semi
1 cucchiaio di Cointreau (doveva essere grappa ma non ne avevo in casa)
un pizzichino di sale
un mezzo cucchiaino di lievito in polvere garantito senza glutine
nella mia ricetta c'era anche 1 cucchiaino di essenza di limone ma ho evitato pensando che con il Cointreau facesse a cazzotti.

Ho infilato tutto nella Pastamatic, la palla di pasta è venuta bella, liscia e satinata. mezz'ora di riposo e poi via, attraverso la trafila...
Un disastro!!! 
Questa pasta, pur essendo abbastanza elastica, dalla trafila in bronzo esce DEVASTATA!!! Più che una pettola larga 4 cm è una collezione di striscioline e coriandoli... Con il Carnevale ci starà pure bene ma con le chiacchiere non va proprio!
Mo' pare che ogni volta che faccio qualcosa per forza, ad un certo punto, ci sia una tarantella in agguato!
Ed è certo che con le tarantelle i racconti sono più divertenti, è certo pure che tra la cucina senza glutine e le tarantelle ci sia una proporzionalità diretta...
Eppure le lasagne (che ho fatto con la Farmo per pasta all'uovo, seguendo pari pari la ricetta sulla busta) sono passate benissimo senza intoppi e sono venute bellissime, sottili sottili... e senza tarantelle!
OK. Sfoderiamo il mattarello e stendiamo queste benedette chiacchiere a mano.
La rotellina zigrinata per fare i bordi bellilli non ce l'ho.
La pazienza di piegare il pezzo di sfoglia per fare una specie di nocchetta mi è passata.

Dedichiamoci al sanguinaccio, va....
Ecco, per il cioccolato con la cannella (che ci piace chiamare comunque sanguinaccio perché fa più Carnevale, ma certo è che di sangue non ce n'è nemmeno una goccia) ho usato la ricetta di mammà, che è senza glutine già di suo.

250 ml di latte
1/2 bicchiere di acqua
80 g zucchero
50 g burro
15 g maizena
una confezione di cacao amaro adatta per celiaci
buccia di mezzo limone
cannella (sempre garantita senza glutine) q.b.

Si inzia riscaldando il latte con la buccia di limone, lo si fa arrivare quasi ad ebollizione e poi lo si abbandona lì sui fornelli, coperto. Si scioglie la maizena nel mezzo bicchiere d'acqua. Si mescola lo zucchero con il cacao e poi a poco a poco si amalgama l'acqua con la maizena, fino a fare una pasta cremosa. Mia mamma dice sempre che se si mescola in quest'ordine i grumi di cacao non vengono. Provare per credere.
Abbandonare anche la pasta di cacao e tornare alle chiacchiere.

E' ovvio, dopo un anno non ricordo più se le chiacchiere si gonfiano friggendo nell'olio molto caldo o in olio  tiepido. In più la padella è nuova (la mia fida padellona è passata a miglior vita la settimana scorsa) e le chiacchiere sono senza glutine... devo improvvisare.
E prima è troppo caldo... e dopo è troppo freddo... ogni scusa è buona a che queste sfaticate non si comportino a dovere. Se è caldo si bruciano in tempo reale. Se ne metti troppe insieme l'olio cala di temperatura e i dolcetti si imporpano e non si abboffano...
In qualsiasi caso ho capito che tra ricetta sglutinosa, padella nuova e olio, le chiacchiere piccine venivano meglio di quelle più grandi. Così tagliuzzato a metà quelle più grandi.

 Quelle piccole e quadrate sono venute davvero belle gonfie, quelle più grandi sono state meno costanti. E' ovvio che non vi farò mai vedere quelle secche, marroni e bruciate ma, fidatevi, almeno 5 o 6 mi sono venute così...


Finita la frittura, sono ritornata a bomba sul "sanguinaccio"!
Bene: eliminare le scorzette di limone dal latte e, con pazienza, sciogliere la pasta di cacao nel latte tiepido.
una volta che è tutto sciolto, rimettere sul fuoco e continuare a girare fino a che il tutto non si addensi per benino.
A questo punto spruzzare con la polvere di cannella e sciogliere il burro tagliato a cubetti.
Io, confesso, ho prolungato un poco la cottura e ho usato non più di 20 grammi di burro.
Il risultato è stato ... ehm... ehm... se ci fosse stato davvero il sangue si sarebbe dovuto scoagulare... eparina o San Gennaro, per non avere una crema solida!
Servire freddo, insieme alle chiacchiere.

Ecco, io  e il mio amato consorte anacoreta ci siamo trezziati queste chiacchiere fino a sera.
Nel pomeriggio ho giocato alla piccola fotografa e ho cercato di fotografarle... è stato un lavoro difficile perché i villi, impazienti di ricevere e di assorbire per la prima volta fritto e cioccolata insieme, mi si appendevano al cavalletto e mi facevano le ditate sugli obbiettivi.
Si mettevano davanti alle luci e si rotolavano nello zucchero al velo.
Insomma, hanno fatto talmente tante scostumatezze e mi hanno fatto talmente innervosire che quando poi li ho visti gonfi, translucidi e un poco sofferenti per le troppe chiacchiere non mi hanno fatto pena. 
Anzi, ho guardato dritto negli occhi il villo più paffuto di tutti, quello che aveva ancora l'orletto a spazzola sporco di cioccolata e gli ho detto a bruciapelo: domani pane e acqua!
E visto che qui  il pane è problematico, solo acqua!


P.S. Le lasagne, belle, sottili e ben riuscite, una volta cotte si sono disintegrate. Praticamente nel ruoto mi è rimasta solo l'imbottitura. Il sapore era ottimo ma abbiamo praticamente mangiato un pasticcio di ricotta, salsicce e provola... altro mezzo spatascio...
Mi sa che al lato del blog devo aggiungere una tacca per ogni spatascio praticato...


Piccolo dizionario napoletano/italiano
comme aggia fa : come devo fare?
Mo': ora

tarantella: la tarantella è un ballo popolare ma in questo caso il termine è usato in senso figurato. "Fare le tarantelle" significa fare qualcosa passando per mille difficoltà.
bellilli: bellini

imporpano: si inzuppano (si riducono piene d'acqua come un polpo)

abboffano: si gonfiano assai
Trezziati: il verbo trezziàre significa: giocarsi un lungo tempo di attesa per prolungare il godimento che verrà
ruoto: teglia con un timballo al forno (per capire davvero cosa il ruoto rappresenti vedere questo video)